14 dicembre 2014

Playstation to Station

Una, due... tre. Quando mi fermai davanti alla terza stazione, realizzai che il treno mi aveva portato lontano. Da quelle parti potevi diventare qualcuno, me ne resi immediatamente conto, bisognava soltanto darsi da fare, pagare il giusto prezzo. Giovane, forte e ambizioso non badai a spese, e nel breve volgere di qualche mese presi confidenza con gli strumenti che mi erano stati messi a disposizione, aggirando e saltando gli ostacoli posti sul mio cammino. Deciso a prendermi la rivincita sul mondo che mi ero lasciato alle spalle iniziai a raccogliere i frutti del mio lavoro, uno dopo l'altro. Ne valse la pena. Imparai ad invocare un calcio di rigore inesistente, a piazzare una punizione all'incrocio dei pali, a ridere dell'espressione di terrore dipinta sul volto del portiere. Mi abituai ad alzare al cielo le coppe più prestigiose, ad alimentare il ruggito della folla che mi circondava, che mi amava alla follia. Una volta mi beccai la malaria nella poco ospitale giungla africana, ma ero un mercenario avvezzo a situazioni estreme, e vivendo di espedienti portai a termine una missione che a prima vista era sembrata impossibile. Riuscii a cavarmela perfino nell'inferno di Stalingrado, mentre cercavo di decifrare gli insulti dei nazisti ai quali contendevo la città metro per metro, e mi illudevo che un'ideologia fosse migliore dell'altra.

Poi tutto finì come era cominciato, perché mi convinsi a credere che i riflessi si allentano anche al più valoroso dei soldati, che tutti i calciatori devono appendere gli scarpini al chiodo, prima o poi. Me ne tornai da dove ero venuto, lo zaino pieno di ricordi e una fottuta paura di non farcela a barattare la strada del successo per il viale del tramonto. Eppure, impegnandomi a fondo come ero solito fare, sopravvissi al più insidioso dei nemici: il mio fantasioso passato. Per qualche tempo mi illusi di essere felice, ma non poteva durare, lo sapevo bene, quello non ero io. Un giorno, mentre cercavo di ammazzare la noia senza lo straccio di un controller da tormentare, decisi che sarei salito sul treno un'ultima volta, ignorando il fuoco incrociato degli sguardi di disapprovazione. Fu così che mi ritrovai davanti alla quarta stazione, arrugginito ma pronto a tuffarmi nella mischia della finzione, per poi emergere vincitore di niente. Ma il viaggio si era rivelato troppo lungo, e avevo pensato troppo. Non scesi. Mi limitai a fissare quel monolite nero per degli istanti che volli dilatare a dismisura, mentre soppesavo l'eventualità di restare ragazzo per sempre.

4 commenti:

  1. Io ti dico solo che mi son fermato alla prima stazione. Quella grigia, giocattolosa, bellina.

    Moz-

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  2. La prima è anche l'unica che non ho conservato! :)

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  3. L'ho buttata via, ti rendi conto? Non voglio pensarci, a volte faccio delle cose senza senso! :(

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