13 marzo 2018

Fortuna, sfortuna, che importa?

Mia madre nacque il 28 luglio del 1939, mio padre il 17 agosto di quello stesso anno. Due date particolari, di lì a poco la Germania avrebbe invaso la Polonia dando ufficialmente inizio agli orrori della seconda guerra mondiale. La attraversarono entrambi, due bambini che crescendo percorsero il lungo viale che dai difficili anni del dopoguerra avrebbe portato a quelli del miracolo economico italiano. Poi ebbero la fortuna di conoscersi e di innamorarsi perdutamente. Non saprei dire esattamente quando, però si sposarono nel 1963, ho un mucchio di foto in bianco e nero che fissano per sempre quella giornata di sole. Non le guardo da una vita, ma non ne ho bisogno, ricordo perfettamente il sorriso radioso di mia madre e la tenerezza negli occhi di mio padre.

Due figli e una manciata di anni condivisi in una modesta casetta di periferia, che soldi per una villa non ne avevamo e andava benissimo così. Fortunati loro ad essersi incontrati, ad aver costruito insieme una famiglia fortemente voluta, sfortunato io, che fui doppiamente amato e protetto per un misero lustro.

Mio padre morì all'inizio del 1972, aveva soltanto trentadue anni. Quando mi fu detto pensai che non sarei più salito sulla Fiat 500 bianca, poi me la presi con lui perché non mi avrebbe visto andare a scuola, perché non mi avrebbe mai rimproverato. Mamma non cadde una sola volta, né si mostrò mai abbattuta o bisognosa di una parola di conforto. Si mise a lavorare e riversò su di noi tanto di quell'amore che sarebbe bastato a un esercito di figli. Si ammalò nel 1985, una cosa seria. Riuscì a sconfiggere anche la più terribile delle malattie, ma questa ripresentò il conto venti anni dopo, rendendole ingiustamente difficile l'ultimo tratto della sua esistenza. Se ne andò un giorno di settembre del 2012, noi eravamo accanto a lei. Non parlava spesso di suo marito, ma ammetteva di averlo amato, con la stessa intensità, dal primo all'ultimo giorno del loro breve viaggio insieme.

Raramente vado a trovarli. Non riesco a versare lacrime su un mazzo di fiori prima di depositarlo delicatamente, non posso abbracciare la fredda pietra illudendomi di essere riscaldato. Più di ogni altra cosa, non ce la faccio ad incrociare gli sguardi dei miei genitori, ad ignorare le date di apertura e chiusura sulle rispettive lapidi. Non sono stati fortunati. Spesso decido di andare, poi ci ripenso e chiedo mentalmente perdono.

6 commenti:

  1. Roberto ... sai usare le parole come un pennello ... mi dispiace esserci conosciuti proprio in occasione del funerale della tua mamma, ma sei una persona stupenda capace di sentimenti grandissimi. Un caro amico. Ti abbraccio

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  2. Grazie amico mio, ti voglio bene. Un grande abbraccio.

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  3. Siamo in viaggio lungo un grande fiume, all'inizio sono rapide di acqua frizzante poi si placano in meandri e in rivoli, siamo in viaggio soli in mezzo alla terra e pochi sono i nostri compagni, le nostre amicizie, i nostri amori; ma sono esistenziali. Ti voglio bene.

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  4. Ti sono vicino Roberto. E tu va avanti Roberto, come ha fatto tua mamma. Va avanti con la forza del cuore ❤

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