20 giugno 2016

Sesso, droghe e Guns N' Roses

(Post recuperato dal blog The Rockin' days, non più on line da diversi mesi. Pubblicato il 16 novembre del 2014 rischia di tornare attuale, visto che la formazione storica della band sta per andare in tour. Tutti presenti all'appello? Non proprio. Pare che del progetto faranno parte soltanto Axl Rose, Slash e Duff McKagan)

Vidi i Guns N' Roses quattro anni fa, al Palalottomatica di Roma. Avevo un biglietto di troppo in tasca (chi doveva venire con me aveva rinunciato il giorno precedente), così contattai un vecchio amico e gli regalai il concerto. Missione compiuta, ma quella si rivelò una serataccia. Nel pieno rispetto della tradizione Axl si presentò in netto ritardo, come se far aspettare migliaia di fans impazienti fosse la cosa più naturale o rock del mondo. Per quanto riguarda l'acustica c'era una tradizione negativa da rispettare, così per tutta la durata dello spettacolo mi parve come se le canzoni provenissero dall'interno di una macchina parcheggiata fuori dall'impianto. Axl era in buona forma vocale e devo ammettere che non si risparmiò, ma fin dall'inizio fui pervaso da una strana sensazione. Mi venne in mente il concept alla base di Wish You Were Here, il celebre album dei Pink Floyd (omaggiati dallo stesso Axl nel corso della serata): l'assenza. Ci troviamo qui, ma siamo da tutt'altra parte, siamo i Guns N' Roses ma anche no. In effetti, il gruppo che si muoveva sul palco quella notte aveva ben poco a che fare con quello dei bei tempi, che nel corso degli anni aveva perso tutti i pezzi pregiati, uno dopo l'altro, in modo traumatico. Saliti in vetta al mondo, i Guns si erano infine trasformati in una sigla. Niente di più, niente di meno.

Il primo ad andarsene, o meglio, ad essere cacciato fu Steven Adler, con buona pace di tutti i componenti della band, nessuno escluso. Il biondo batterista degli esordi fu estromesso a causa dei suoi cronici problemi di droga, è proprio lui a parlarcene in My Appetite For Destruction, autobiografia scritta con l'indispensabile aiuto di chi, in casi del genere, deve riordinare e dare una forma compiuta a un fiume in piena di ricordi, importanti ma disordinati, spesso sconnessi. Le prime pagine del volume ripercorrono l'infanzia e l'adolescenza di Steven, decisamente problematiche, poi l'amicizia con Slash e gli inizi dei Guns N' Roses fino al raggiungimento del successo planetario. Sono le più interessanti, perché mentre gli eventi si susseguono My Appetite For Destruction prende una piega diversa, decisamente prevedibile e la discesa all'inferno del musicista, descritta con dovizia di particolari, rende monotona la narrazione. Evidentemente, gli eccessi delle rockstar hanno malevoli effetti sui libri che decidono di scrivere, presi dalla smania di vuotare il sacco e di far soldi. Li avvelenano rivendicando un insostituibile ruolo, riducendoli a una corsa verso il baratro in attesa della redenzione, che non è data necessariamente dal ripudio del passato, quanto piuttosto dall'atavico desiderio di prendere in mano la propria vita. Prima o poi.

Alla fine si torna al punto di partenza, e dal cliché sesso, droga e rock 'n' roll (condito da guerre intestine, lotte per il potere e aule di tribunale) non se ne esce quasi mai. Ci sono casi in cui risulta sgradevole scoprire cosa si nasconde dietro le copertine dei dischi che amiamo, e Steven Adler lascia ben poco all'immaginazione, perché il sacco lo vuota davvero. Di positivo c'è che lo fa senza particolari vittimismi, stando ben attento a non invocare la comprensione di chi legge, riuscendo nell'impresa di risultare simpatico. Il resto è tanto di guadagnato, in termini di autostima e, soprattutto, banconote. My Appetite For Destruction è la storia di un batterista famoso ma anche di un ragazzo sfortunato, poi fortunatissimo, poi di nuovo sfortunato. Poi, forse, sereno.

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